I giganti verdi, gli alberi monumentali

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Per il poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran “se un albero potesse scrivere un’autobiografia, questa non sarebbe diversa dalla storia di un popolo”. È proprio vero, in molte circostanze l’esistenza secolare di un arbusto è intimamente intrecciata a quella di una comunità. Talvolta ha assistito alla sua evoluzione come muto testimone, talaltra si è inserito divenendone coprotagonista.

Particolare fascino effondono quegli arbusti che, come spiega il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, “rappresentano il valore testimoniale di una cultura, della memoria collettiva, delle tradizioni, degli usi del suolo ma anche delle pratiche agricole e selvicolturali. Si tratta di esemplari, non necessariamente secolari, ma legati a particolari eventi della storia locale, a personaggi, tradizioni, leggende, fatti religiosi ma anche resi noti dall’arte. Tale valenza è generalmente nota a livello locale e si tramanda per tradizione orale o è riscontrabile in iconografie, documenti scritti o audiovisivi”. 

L’albero, proprio per le radici salde nel sottosuolo e i rami protesi verso il cielo, rappresentava il perfetto equilibrio fra l’universo celeste e quello terreno. Il tronco alludeva a forza e stabilità, mentre le fronde erano simbolo dell’ascesa fruttuosa destinata a perpetua rinascita. Ora vi racconto una curiosità legata ad Ascoli Piceno. Come l’albero della conoscenza si innalzava al centro del giardino dell’Eden, un olmo si ergeva in mezzo a Piazza Arringo. Nel periodo medievale segnava il punto di raccolta per le assemblee cittadine che si tenevano periodicamente al fine di discutere di questioni amministrative. Francesco Bartolini d’Arquata nella sua Cronaca Ascolana scrisse che il 7 febbraio 1369 l’albero crollò a causa di una violenta tempesta di vento. Venne prontamente ripiantato, ma nel 1373 fu sostituito da un altro esemplare di cui ci sono giunte testimonianze fino al XVI secolo. Dovete sapere che in agricoltura l’olmo aveva il compito di sostenere i tralci di vite e, proprio per questo, era metafora di sussidio e protezione. Mi piace pensare che la pianta sotto la quale si riunivano in occasione delle arringhe, era un invito a trovare una comunione d’intenti. 

Il concetto di albero come elemento identitario era piuttosto diffuso nel territorio, basti pensare ad Amandola e Castignano che addirittura devono il loro toponimo al grandioso mandorlo che sovrastava una collina in prossimità del primo borgo, e i castagneti declamati da Plinio che invece abbracciavano il secondo. Merita una menzione anche il largo uso di “piantare il maggio”, ossia tagliare un arbusto nelle vicine zone boschive, e portarlo fino al centro della piazza di paese, dove veniva issato a forza con delle funi. Questo spesso mutuava nell’albero della cuccagna che decorticato, esibiva sulla sommità dei beni alimentari a disposizione di chi riusciva a raggiungere la cima. Probabilmente l’uso derivava da un antico culto secondo il quale nell’albero albergava uno spirito generoso, pronto ad elargire doni e buona sorte. 

Ora vi consiglio due giganti verdi da contemplare con il naso all’insù.