TEATRO VENTIDIO BASSO

Colore sfondo lista: Oro #B5974B
Allineamento immagine di copertina: TOP

Bentrovato! Sono Anna De La Grange, il soprano che incantò la meravigliosa platea del Teatro Ventidio Basso il 25 ottobre del 1846.

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Voce Narrante: Anna De La Grange
Interprete: Pina Calisti

Ricordo bene quella data perché era la mia prima volta ad Ascoli Piceno, città che già nel 1579 manifestò l’esigenza di una scena fissa. Mio caro ospite, sei già stato nella Pinacoteca Civica? Lì dove oggi si estende la maestosa Sala della Vittoria, un tempo albergava il teatro pubblico, progettato da Giuseppe Gualtieri e supervisionato da Luigi Vanvitelli, architetto della Reverenda Camera Apostolica. Ben presto la struttura risultò inadeguata, specie a causa della deperibilità del materiale utilizzato: il legno. Il rischio d’incendi e danni al Palazzo degli Anziani che l’ospitava era davvero troppo elevato. 

Si decise così di edificare un nuovo teatro in un’altra zona della città. Il primo scoglio da superare fu la reperibilità dei fondi necessari per l’avvio di questo ambizioso progetto. A dispetto di ogni timore, la possibilità di acquistare un palco, e sostenere così la costruzione del nuovo spazio scenico, fu accolta benevolmente. Sì, perché devi sapere che questa concentrazione di teatri nel territorio marchigiano era dovuta al fatto che molte famiglie nobili tra il 1600 e il 1700, nutrivano una forte passione per la musica e le attività drammaturgiche. Nel lontano 1839 nacque la Società condominiale del Teatro Ventidio Basso, costituita da sessantacinque soci palchettisti disposti a spendere fior di quattrini per la realizzazione di un teatro composto da tre ordini! Erano sostenuti dall’amministrazione comunale che in parte se ne assumeva la gestione. 

Per quanto riguarda Ascoli, fu così che iniziarono i lavori per la fondazione di questo incantevole teatro che, secondo contratto, doveva ospitare almeno due stagioni: una in occasione del Carnevale, l’altra della Fiera di novembre. La progettazione fu affidata a Ireneo Aleandri, discepolo di Giuseppe Camporése e ingegnere del Comune di Spoleto. Nell’ambiente era considerato un vero e proprio esperto poiché oltre al teatro di San Severino ne aveva concepiti altri tra Umbria e Marche. Non mancarono momenti di grande tensione fra le parti. Per questo motivo quello che vediamo oggi è solo parzialmente riconducibile all’Aleandri, ma continueremo questo discorso più avanti. 

Prima di entrare vorrei che ti soffermassi sulla facciata in travertino caratterizzata da due ordini: il secondo presenta delle paraste allineate alle colonne in stile ionico del pronao sottostante. Bene, memorizza questa veduta perché all’interno racconterò le diverse modifiche che si susseguirono durante i lavori. 

Seguimi, per favore, ora possiamo entrare. 

Ci troviamo nel foyer del piano terra, un ingresso monumentale dall’aspetto a dir poco classicheggiante.
Il soffitto a cassettoni presenta lacunari decorati con foglie e fiori. Coraggio, mio caro ospite.

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Voce Narrante: Anna De La Grange
Interprete: Pina Calisti

Avvicinati al doppio ordine di colonne ioniche che dominano lo spazio. A rendere l’atmosfera piacevolmente armonica sono le statue realizzate da Giorgio Paci. Ai lati dell’ingresso alla platea si ergono Apollo e Minerva, il sentimento e la ragione sono i due elementi che guidano la composizione. Mentre li osservo sento della musica danzare intorno alla mia figura, è accompagnata da schiamazzi, grida, risate e battute divertenti: sono le allegorie delle varie arti. Giorgio Paci le ha realizzate in stucco, e per la precisione rappresentano l’Armonia, la Danza, la Commedia e la Tragedia. 

Credi di essere pronto? È giunto il momento di lasciarti stordire da una bellezza che oserei definire sfacciata. Prima di accedere, però, guarda al di sopra della porta. Vi è il busto di Luigi Marini. Hai mai sentito parlare di lui? Fu un noto tenore di origini ascolane che calcò i palcoscenici dei teatri più prestigiosi d’Italia. 

Bene, ora va’ e goditi lo spettacolo!

La Gran Sala con il loggione e i quattro ordini di palchi ci accoglie in un profluvio di oro e rosso vermiglione, screziato da un distensivo verde acquamarina. Scommetto che il cuore ha fatto una capriola nel petto e gli occhi continuano a vagare animatamente fra un dettaglio e l’altro! Come biasimarli? I decori in stucco che caratterizzano l’ambiente sono stati disegnati dall’architetto Giovanni Battista Carducci, ma l’estrema raffinatezza realizzativa è opera dei fratelli Giorgio ed Emidio Paci che adoperarono degli stampi. Guarda che affascinante contaminazione di stili! Adoro l’alternarsi di motivi neoclassici come i cammei a leoni alati, puttini, festoni, e calligrafici rami di acanto. Chi ha uno sguardo più vigile vedrà alcuni dettagli baluginare con maggiore intensità. L’effetto è riconducibile a delle nuove foglie d’oro applicate in occasione del restauro conclusosi nel 1994. Il primo indoratore invece fu un certo Carlo Carbonari che forse si avvalse di una più economica meccatura. Questa tecnica piuttosto efficace prevedeva l’utilizzo di lamine metalliche ridipinte per simulare l’oro.

Avanziamo lentamente al centro della platea, e accomodiamoci. Devi sapere che il primo sipario storico fu dipinto da Vincenzo Podesti, il quale aveva rappresentato Il trionfo di Ventidio Basso sui Parti. Fu così concepito affinché le persone, imbattendosi subito in questa figura, capissero all’istante il significato del nome preso in prestito dal teatro. Il grande tendaggio che vediamo oggi è invece stato dipinto da Cesare Recanatini nel 1872. Raffigura Piazza del Popolo, abbracciata in maniera scenografica da diversi monumenti che la rendono simile a un accogliente salotto cittadino, dove passeggiare, confrontarsi e degustare delizie locali. L’hai già visitata? Hai notato delle differenze? Te ne indico una soltanto: le garitte al posto dei balconcini. Per tutte le altre ti invito ad aguzzare la vista! 

Ma torniamo a noi… ricordi quando all’ingresso ti ho menzionato gli attriti tra l’architetto e i condomini? Bene, un’altra importante modifica che ha determinato la rottura con l’Aleandri riguardò il modo in cui venne realizzata la copertura della sala. Che evento increscioso! Devi sapere che il noto architetto negli altri teatri non aveva mai concepito un tetto piano, e di certo non per una mera scelta estetica. All’epoca, infatti, vi erano diverse scuole di pensiero sulla forma che un plafone dovesse avere per garantire un’acustica impeccabile. Per alcuni doveva essere simile alla pelle tesa di un tamburo. Sta di fatto che l’Aleandri preferiva il soffitto a volta con unghiature bibienesche e, come puoi ben notare, non fu accontentato. 

Visto che hai lo sguardo puntato verso l’alto, prosegui l’osservazione. Le decorazioni del soffitto non sono quelle originali eseguite fra il 1840 e il 1850. Il plafone, in una prima fase, era difatti impreziosito da un mirabile dipinto dell’artista anconetano Podesti che purtroppo nel corso degli anni fu gravemente danneggiato dal fumo e dalle infiltrazioni d’acqua. Era il 22 agosto del 1870 quando il consiglio comunale, insieme ai soci palchettisti, decise di avviare i dovuti restauri. Stavolta il compito di ornare il plafone fu affidato al pittore originario di Colli del Tronto Ferdinando Cicconi, il quale effigiò con grazia otto meravigliose Muse incarnate da quattro figure femminili che si avvicendano a quattro puttini. La Commedia, il Dramma, la Tragedia, la Musica, la Poesia e poi ancora la Pittura, l’Architettura e la Scultura sono incastonati su uno sfondo iridescente che seguendo un motivo ad intaglio, crea una magnificente gloria di iris. Nei due pennacchi che dividono il plafone circolare dal boccascena campeggiano due medaglioni con Carlo Goldoni e Giorgio Alfieri. Al di sotto dell’orologio, invece, sono effigiati Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti, divisi al centro da un rosone che racchiude vari strumenti musicali. 

Prima ho nominato l’operazione di restauro del 1994. Torno a parlartene perché vi è un altro aspetto piuttosto interessante che è stato debitamente conservato: il colore azzurrino che caratterizza i parapetti e i palchi. Questa scelta cromatica è davvero unica poiché negli altri teatri in genere prevale il crema e il vermiglio. Qui invece domina questo colore che rende tutto più brillante e armonioso. Non ti pare? 

Ora, mio caro ospite, ti mostrerò il secondo ordine. Seguimi, per favore.

Una volta lasciata la platea, procedi in direzione di una delle due rampe di scale laterali - è indifferente quale - e sali fino a raggiungere il II ordine.
Hai visto lo specchio? Raggiungilo. Davanti vi è una porticina con il numero 12. Entra pure. 

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Voce Narrante: Anna De La Grange
Interprete: Pina Calisti

Qui il palco centrale non è particolarmente significativo, non è come quello del Teatro alla Scala di Milano o del San Carlo di Napoli. Il motivo è piuttosto semplice: ad Ascoli non vi era una famiglia regnante. Quindi questo posto tanto ambito spesso veniva assegnato al Comune. Per distinguersi dagli altri palchi sono stati inseriti due ovali con teste di Sibilla dipinte ad olio su legno. Le opere sono state attribuite a Biagio Miniera. Questo artista fu l’autore della decorazione pittorica del teatro collocato nella Sala della Vittoria. Ricordi? Te ne ho parlato pocanzi. Quello, oltre ad essere molto piccolo, rappresentava anche un costante elemento di pericolo. Interamente realizzato in legno, era collocato vicino alla segreteria e alla cancelleria comunale. Il rischio più grosso? Ovvio, che le fiammelle delle candele potessero sprigionare un incendio con conseguente perdita dei documenti attinenti alla città di Ascoli. Quindi già nel 1790 il governatore raccomandava al Comune di provvedere a un teatro meno pericoloso per la collettività. Chiedo venia! Forse mi sono dilungata troppo! Ho voluto riportarti ancora una volta questo particolare perché fu Biagio Miniera a dipingere il teatro ligneo, e non si esclude che questi due ovali siano ciò che resta della decorazione irrimediabilmente scomparsa.

Adesso riprendi le scale e sali fino al III ordine.
Fai attenzione, non procedere in direzione del corridoio che conduce ai palchi, ma accedi alla porta laterale.

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Voce Narrante: Anna De La Grange
Interprete: Pina Calisti

Il foyer del secondo piano oltre al palcoscenico - certo - è lo spazio che più sento vicino. Perché? Proprio in questa stanza al termine dello spettacolo ci si riuniva per condividere impressioni e vari momenti di intrattenimento. I musicisti erano in alto. Guarda che incanto la decorazione con cetre della balaustra in gesso! Pensa, per realizzare questa stanza è stata modificata la facciata! In pratica si decise di farla avanzare per inglobare il porticato che doveva essere aggettante. Esistevano quindi delle motivazioni ben precise dietro alle modifiche del progetto iniziale di Aleandri: per esempio la ferma volontà di ottenere un altro spazio riservato a concerti più intimi. 

Questa sala ospita alcune novità. Alludo ai dipinti che provengono dalla Pinacoteca Civica e dalla collezione dei marchesi Sgariglia. Su un fianco puoi ammirare un dipinto della scuola di Ludovico Trasi risalente al XVII secolo che mostra papa Nicolò IV mentre sancisce la pace fra due principi. Accanto è posizionata una tela della scuola di Biagio Miniera che invece rappresenta Ventidio Basso a cavallo. Secondo una tradizione non attendibile, è ciò che resta del sipario storico del teatro pubblico disposto in Sala della Vittoria. Perché dico improbabile? Di solito per decorare i tendoni che separavano il palcoscenico dalla sala, si utilizzava la tempera e non i colori ad olio.

Un altro interessante riferimento a Ventidio Basso? Ovvio, la scultura realizzata da Serafino Tramazzini, che fino a non molto tempo fa era conservata nella Sala d’ingresso della Pinacoteca. Si decise di trasferirla qui per avere un richiamo diretto con questo personaggio di origine picena, noto per aver ottenuto la prima vittoria romana sui Parti. Guarda, è posta sotto la balaustra e si tratta di un’interpretazione moderna di un busto antico. Da notare la finezza della testa in marmo bianco in contrasto con il panneggio della tunica in pietra bigia. 

Guardandoti attorno, vedrai altre opere in gesso che in origine erano collocate all’ingresso. Queste statue venivano commissionate dai grandi appassionati di lirica che volevano celebrare soprattutto le cantanti distintesi durante le rappresentazioni. Non vorrei peccare di superbia, ma il busto femminile più grande, quello sulla consolle, raffigura me in persona. Gli ammiratori pur di ricordare che una star internazionale del mio calibro si era esibita in questo teatro, si sbrigarono ad affidare l’esecuzione plastica ad Emidio Paci. Che cari!

Fra le finestre, invece, sono appesi quattro medaglioni del XVII-XVIII secolo che ritraggono Cecco d’Ascoli, Ventidio Basso, il cardinale Felice Centini e il poeta Eurialo d’Ascoli.

Il dipinto non certo timido che occupa l’intera parete sud è opera di Massimiliano Gallelli di Cremona. Questo dipinto celebra l’inaugurazione del controverso monumento a Garibaldi sul Gianicolo. La discussione all’epoca si accese perché posizionare la statua del patriota nizzardo in un luogo così preminente, sembrava un affronto alla Chiesa. Il pittore comunque ambientò la scena in un contesto lirico che allude a un lontano passato. Estremamente affascinanti difatti sono sia le figure femminili con le impalpabili tunichette e i capelli inanellati con corone di alloro, sia il personaggio in primo piano con la pelle di leone addosso e il vessillo romano fra le mani. Ci riconducono al periodo storico di riferimento il tricolore e la folla di garibaldini con le camicie rosse. Escludendo la retorica del dipinto, è interessante l’utilizzo del colore approssimativo che, accanto a brumosi effetti illuministici, offre alla scena una vibrante tensione emotiva. 

Sei pronto a lasciare gli ambienti più aristocratici per raggiungere il loggione? Ti assicuro che da lassù la vista è molto affascinante. Coraggio, seguimi! Raggiungiamo le scale per spingerci fino all’ultimo piano. 

Certo, non è come il palco centrale in cui siamo stati prima, ma da qui abbiamo una visione più ravvicinata del lampadario e della decorazione del soffitto! Ora accomodati su una delle panche perché ti racconto una curiosità: quando la costruzione del teatro era ormai vicina alla conclusione, si decise di realizzare un’altra scala per evitare che ci fossero situazioni di promiscuità tra i palchettisti e i loggionisti che chiaramente appartenevano a classi sociali differenti! 

Ricordi cosa ti avevo detto all’inizio del nostro percorso su coloro che avevano acquistato i palchi per 150 scudi? Bene, aggiungo che nel contratto iniziale, quello grazie al quale si era costituita la società condominiale del teatro, questi venivano ereditati dal primogenito. Di conseguenza le famiglie nel corso degli anni occupavano sempre gli stessi posti. In altre città, invece, periodicamente i palchetti venivano assegnati per mezzo di un sorteggio. 

Il nostro percorso esplorativo termina qui. Abbiamo vissuto momenti intensi insieme, non è vero? Desidero lasciarti con un pensiero di Victor Hugo che amo in maniera particolare: “Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”.