A pochi chilometri da Arquata del Tronto si sviluppa Spelonga, un borgo dal carattere tenace e combattivo che ogni tre anni celebra la Festa Bella. Si tratta di una manifestazione che vuole glorificare la partecipazione di un centinaio di spelongani alla battaglia di Lepanto. Lo storico locale Dario Nanni di recente ha spiegato che “i paesani erano galeotti, cioè rematori delle galee veneziane. All’epoca era difficoltoso armare questo tipo di navi con un equipaggio valido. Perciò ci si spingeva nell’entroterra appenninico! Si andava alla ricerca delle forti braccia dei boscaioli”. Secondo una nota leggenda la compagine di Spelonga assalì una nave turca per un arrembaggio e s’impadronì di un vessillo che fu riportato in patria come testimone materiale della vittoria. Per lungo tempo un drappo di stoffa in cui campeggiano tre mezzelune con una stella in posizione centrale è stato custodito nella chiesa parrocchiale. Dopo la crisi sismica del 2016 il cimelio è stato tratto in salvo e per tre anni è rimasto nella sede vescovile di Ascoli Piceno. Nel 2019, in occasione della festività, è finalmente tornato a casa. 

Durante l’intero mese di agosto tutta la collettività prende parte a questa celebrazione che è articolata in diverse fasi. In un primo momento, a inizio estate, dei boscaioli professionisti raggiungono il Farneto per selezionare e poi abbattere una pianta con il fusto lungo almeno venticinque metri. Tagliano rami e fronde, squadrano la base e la predispongono per il trasporto verso il centro del paese, dove fungerà da albero maestro della nave. A inizio agosto le campane festanti iniziano ad oscillare e preannunciano così la partenza di un centinaio di uomini in direzione del bosco. A mezzogiorno la popolazione si raduna in piazza per il commiato. Le donne attorniano la comitiva e offrono cibo in abbondanza per i tre giorni successivi. Segue una sequela di baci e abbracci che di certo riecheggia ciò che avvenne nel 1571, quando l’atmosfera era ben più malinconica. Una volta raggiunta la boscaglia, sotto la guida di un abile caposquadra, gli uomini dotati de lu crucche si predispongono per portare l’albero fino al borgo al grido di “Oh Forza!”. Quando il gruppo di uomini appartenenti a varie generazioni fa il suo ingresso in paese con il petto gonfio di orgoglio, la popolazione lo accoglie in un’esplosione di giubilo. La terza fase riguarda la preparazione del palo che viene issato con l’aiuto di funi e scale al centro della piazza. All’apice viene posta una copia della bandiera un tempo conservata nella chiesa di sant’Agata, mentre attorno viene edificato lo scheletro di una galea. Tutto è pronto per la festa che vivacizzerà Spelonga lungo l’intero mese agostano, quando gli abitanti si alterneranno nella declamazione degli improvvisati canti a braccio in ottava rima. L’associazione culturale che attualmente cura questa festa tanto emozionante quanto complessa, ricorda con affetto il componimento di Francesco Casini, nato a Poggio D’Api (RI) nel 1904: “Un inchino farei alla Bandiera/ e del soldato le gelide ossa/ io bacerei con calda preghiera;/ ma credo che ignorata sia la fossa./ Ei si scagliò sulla nemica schiera/ incitando i cristiani alla riscossa:/ un labar ei strappò con la vittoria/ per dare alla Spelonga onore e gloria”.