Nel Basso Medioevo Ascoli Piceno visse un periodo particolarmente fecondo. Dai documenti emerge un importante incremento del settore mercantile e manufatturiero. Un ruolo decisivo lo giocò di certo il patrimonio idrico a disposizione e l’efficiente sistema stradale in cui era inserita. La città, abbracciata da due fiumi - il Tronto e il Castellano - era attraversata dalla via consolare Salaria che metteva in comunicazione Roma con la costa medio-adriatica. Questo permise lo sviluppo di attività manufatturiere legate alla produzione di cordami, carta, pannilana e fili di cotone. Il “bambagio tinto ascholano” era molto noto all’epoca. Secondo alcune testimonianze documentarie, spesso veniva favorito a quello perugino ed era talmente diffuso anche nel pregevole mercato veneziano che il Senato della Serenissima fu costretto ad aumentare il dazio doganale sui cotoni filati tinti che giungevano de partibus Marchiae

Ad Ascoli fra il XV e il XVI secolo era piuttosto diffusa la lavorazione della lana, attività che coinvolgeva un gran numero di persone fra pastori, cardatori, pettinatori, tessitori, tintori e drappieri o lanaiuoli. Questi facevano parte di un’importante e autorevole Corporazione che qui aveva sede nella chiesa di San Giuliano. La materia prima spesso giungeva dalle Puglie, ma non veniva disdegnata quella proveniente dalle montagne o dalle colline della Valle del Tronto. Nelle campagne era molto estesa la coltivazione di guado, crocus ed erba lucciola, vegetali impiegati per colorare la lana di azzurro, giallo e verde. In genere le tintorie, a causa del lezzo sgradevole che emanavano, erano collocate al di fuori del centro cittadino. Vi erano infatti delle sanzioni per chi “faceva bruttura, suzura et fetore” in vicinanza di piazze, chiese e monasteri. Perciò le attività considerate moleste erano collocate fuori le porte della città. Note, ad esempio, erano le tintorie di Porta Cappuccina che spesso usufruivano dei merli del ponte romano per asciugare i panni appena trattati oppure quelle a ridosso di Porta Romana che invece li stendevano “arrète a li mierghie” (rua delle Stelle). L’attività laniera, frequente anche nei secoli antecedenti, ha lasciato in città delle piccole tracce e alcune sono ancora ravvisabili. Una testimonianza di questo periodo aureo, infatti, è giunta sino a noi attraverso i loggiati e i bracci in ferro battuto che ritmano le facciate di molteplici dimore ascolane. Fra il Medioevo e Rinascimento erano usati verosimilmente per asciugare i tessuti di lana dopo una lavorazione casalinga perché – come ha spiegato lo studioso locale Secondo Balena – “era ben raro e forse impossibile che un ascolano fosse andato a comperare la stoffa”.